Don Angelo Biondi

DON ANGELO BIONDI,

UNA GRANDE, INDIMENTICABILE FIGURA

Dei quarant’anni di Don Angelo a Suvereto i contemporanei ricordano le opere, ma anche la sua umanità. Di notevole cultura senza farlo pesare, semplice con i semplici, versatile per tutte le età, ma anche burbero e chiarissimo quando era il caso. Fu tra i primi ad usare i “moderni” mezzi di comunicazione di massa, le mitiche “filmine” degli anni ’50, con la vita di Gesù ma anche le avventure di Bambo, con un proiettore di immagini fisse che commentava e sceneggiava in maniera incredibile. Allestì con il Cif la prima mensa (gratuita) che metteva a tavola ogni giorno tutti i ragazzi delle scuole suveretane nell’attuale museo d’arte sacra, così come assicurava la messa domenicale anche a Montioni e San Lorenzo, dove si recava guidando la sua Vespa, col sacrestano Giacco dietro (una volta cadde e si ruppe una spalla), poi con la “seicento” regalatagli con una colletta dai parrocchiani…

In paese i rapporti con la sua gente erano giornalieri, seguiva vita, morte e miracoli di tutti anche dal parterre davanti S.Giusto, con la porta della canonica sempre spalancata, come quella di chiesa, con l’immancabile “toscano”, offrendo un’albicocca a chi si fermava. Ma le benedizioni pasquali in campagna erano il vero e proprio capolavoro di don Angelo, battendola podere per podere, con calma, terminando abbondantemente dopo Pasqua. Dopo i saluti calorosi, un santino alla massaia che offriva, di solito, qualche uovo, poi la benedizione stanza per stanza, le porte spalancate, la luce accesa, la migliore biancheria esposta nei lavabo e sui letti. Poi ci si sedeva nel salotto buono di casa, con tutti i componenti della famiglia che avevano nel frattempo sospeso il lavoro «perché è arrivato il prete» e per quel grande senso dell’ospitalità che in campagna sanno avere. In una casa lungo il tragitto poi c’era il pranzo, precedentemente stabilito cercando di accontentare a rotazione le molte richieste.

Puntualmente in ogni casa don Angelo ricordava in maniera stupefacente tutte le più particolari problematiche familiari, quasi fosse uno di loro; chiedeva ulteriori informazioni, dava una buona parola e un incoraggiamento a tutti. Ma ai discorsi, che molti sanno fare, lui univa anche quella concretezza che la gente sa individuare bene nel suo interlocutore. Don Angelo era molto considerato nella curia e nelle istituzioni, così metteva la sua stima e il suo prestigio al servizio della gente, per le piccole e meno piccole cose. E la gente se lo ricorda, perché i fatti costruiscono più di mille parole.


 

DON ANGELO,

LA VITA DI UN PRETE, E MOLTO DI PIU’

Don Angelo Biondi nacque nel 1899 a Massa Marittima, studiò nei seminari della sua città natale e di Sarzana, ma, giovanissimo, fu combattente e decorato già nella guerra 1915-18, cui partecipò con i famosi “ragazzi del ‘99”. Ordinato sacerdote dal vescovo Borachia, fu destinato al seminario come insegnante (monsignor Luigi Rossi lo ricorda come tra i più preparati e amati dai seminaristi), esercitando anche il ministero nelle chiese di campagna del massetano. Il suo primo contatto con Suvereto fu con l’incarico di assistente della locale azione cattolica, fino alla sua soppressione da parte del regime fascista nel 1931.

Nel 1932 successe a monsignor Evangelisti come arciprete di Suvereto dove restò per 40 anni, fino alla sua morte avvenuta l’8 settembre 1972. Il suveretano don Ivo Micheletti (abate di S.Antimo a Piomino, cui è dedicata la piazza antistante la concattedrale) così lo ricordava: «I suoi grandi amori furono la Chiesa, la gerarchia, il seminario, la sua parrocchia, la libertà. Nei momenti di crisi, nei momenti di lutto e di carenza di autorità, nell’incertezza per le sorti nel domani, molti si rivolgevano a lui come a un pilastro rassicurante della Diocesi. Da Suvereto la sua azione infatti continuò a svolgersi in tutto il territorio diocesano: missioni rurali, colonie estive, corsi di formazione, valorizzazione del patrimonio della Chiesa, direzione dell’azione cattolica diocesana, assistenza ai coltivatori diretti, guida ai confratelli e per i suveretani. Inutile e impossibile decantarne tutti i meriti». E l’amore per la libertà era così forte in lui che gli attirò, fin da giovane seminarista, le “attenzioni” delle squadracce fasciste.

Diventato parroco di Suvereto, negli anni del secondo conflitto mondiale fece opera incessante di proselitismo in favore dei patrioti che combattevano la dittatura e il nemico nazifascista, nascondendo partigiani e soldati alleati, partecipando ai più importanti incontri segreti del Comitato Nazionale di Liberazione, tanto da diventare il primo della lista degli uomini da far tacere da parte dei fascisti della zona. L’8 settembre del ‘43 fece suonare le campane a distesa per la dichiarazione dell’armistizio, ma, quando gli squadristi lo cercarono per farlo tacere, fu aiutato a fuggire da un’abitazione vicina alla chiesa parrocchiale dove si era recato per amministrare l’Estrema Unzione ad un malato, in realtà per incontrare personaggi della resistenza.

Restò alla macchia per circa un anno, tanto che a dir messa nella sua parrocchia c’era don Carlo da Sassetta, un altro sacerdote perseguitato dai fascisti anche suveretani. Fu insignito da encomi dalle organizzazioni patriottiche, dal generale Alexander comandante della quinta armata alleata e dal presidente della repubblica con la croce al valor militare. Nel dopoguerra don Angelo fu protagonista di iniziative benefiche per Suvereto, così come la libertà e la giustizia rimasero in primissimo piano nella sua opera, attraverso la presenza attiva nella società a sostegno dei cattolici, di cui fu a lungo guida insostituibile.


 

GLI E’ STATA INTITOLATA UNA PIAZZA

Le motivazioni ufficiali del riconoscimento

“Per il suo impegno nella Resistenza e nella Liberazione di Suvereto”, questa la motivazione ufficiale dell’amministrazione comunale al cambiamento del nome della piazza XI Febbraio, quella che si incontra appena sorpassato l’arco merlato di accesso al centro storico. «Il sindaco Rossano Pazzagli annunciò questa intenzione nel suo intervento in piazza in occasione del 25 aprile scorso, riscuotendo l’applauso della gente – dice una nota del comune – e ricordando che l’art. 1 dello Statuto comunale riconosce i “valori fondanti della democrazia e dell’antifascismo scaturiti dalla Resistenza”..

L’apposizione della targa con il nome di don Angelo Biondi segna un fatto significativo per ricordare l’impegno civile del prete suveretano, in una fase storica cruciale per l’Italia nella quale stanno le nostre radici di democrazia e di libertà. Suvereto, come gli altri paesi della Val di Cornia, fu liberato nel giugno del 1944. Il prete antifascista svolse in quegli anni un ruolo importante per il successo di coloro che si erano schierati dalla parte della democrazia, contro il fascismo, il nazismo, la barbarie. Come è attestato dai documenti e da varie pubblicazioni storiche, egli fu esponente del Cnl. locale, coordinò l’afflusso dei renitenti presso le formazioni partigiane, accolse nella sua casa le riunioni dei comandi partigiani e del Gap locale, svolse un importante ruolo di collegamento con le squadre partigiane, provvedendo all’invio di uomini, derrate e denaro e trovando alloggio per gli uomini in pericolo.

Don Biondi fu così interprete dell’appoggio che il clero locale diede alla Resistenza e per questo fu controllato dai fascisti, che lo avevano iscritto nella lista delle persone da eliminare. Il suo impegno antifascista, fin dalla sua attività al Seminario di Massa Marittima e successivamente a Suvereto, indusse le autorità fasciste a chiederne l’allontanamento il 24 maggio 1944». In una sua dichiarazione il sindaco Rossano Pazzagli affermò inoltre: «L’intitolazione della piazza ad Angelo Biondi è un fatto significativo per Suvereto, prima di tutto perché richiama un personaggio importante della vita locale di gran parte del ‘900, e poi anche perché è un po’ un segno dei tempi. Intitolando la piazza ad Angelo Biondi, che ha avuto un ruolo significativo anche nella Resistenza e nella liberazione di Suvereto, noi ricomponiamo un po’ le grandi tradizioni ideali della democrazia italiana, quella cattolica e quella della sinistra che nei decenni successivi si erano divise. Oggi mi sembra che questa intitolazione costituisca, quindi, un fatto positivo per la nostra storia ed anche il nostro modo di combinare le migliori tradizioni della società locale»


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